Ogni giorno in Italia vengono diagnosticati circa 1.000 nuovi casi di tumore. Le cifre presentate dall’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) parlano di una malattia socialmente importante, ma anche dei progressi avvenuti nel tempo grazie alla ricerca.
Nel 2019 sono state eseguite 371 mila diagnosi (196.000 uomini e 175.000 donne), nel 2018 373 mila, (53% uomini e il 47% donne).
Nel corso della vita circa un uomo su 2 e una donna su 3 si ammalerà di tumore.
La quasi totalità dei pazienti ospedalizzati riceve una qualche forma di accesso vascolare, per la maggior parte vengono impiantati cateteri venosi periferici (PIV).
Nonostante l’importanza del concetto sempre più diffuso di preservare l’albero venoso periferico, circa il 45% dei pazienti oncologici in Italia riceve la chemioterapia attraverso ago-cannula, almeno nei primi cicli, con il rischio del verificarsi di un danno a volte irreversibile.
Considerando il numero di nuove diagnosi legate a patologie oncologiche che vengono rilevate ogni anno, la dimensione del problema appare estremamente rilevante.
Ancora troppo spesso viene presa la decisione di impiantare un catetere venoso centrale su un patrimonio venoso periferico non utilizzabile o su richiesta del paziente, invece che seguire dei criteri ben stabiliti che mirino a preservare il patrimonio venoso, un maggior confort del paziente e una maggiore sicurezza durante le terapie.
VARIETÀ DI CATETERI VENOSI CENTRALI
I cateteri venosi centrali, come i port ed i PICC-port, sono ampiamente utilizzati nei malati di cancro per una sicura somministrazione di chemioterapia. Questi dispositivi migliorano la qualità della vita dei pazienti e riducono i costi dell’assistenza sanitaria consentendo ai pazienti persino di ricevere la chemioterapia a domicilio. Il numero e la varietà di CVC (Central Venous Catheter) utilizzati nelle pratiche oncologiche negli ultimi 30 anni sono notevolmente aumentati, ed i dispositivi a lungo termine più comunemente usati includono:
I cateteri venosi come i PICC sono destinati ad un utilizzo sia continuo che discontinuo, sia intra che extra-ospedaliero, sono costruiti con materiali ad alta biocompatibilità e vengono inseriti, nel paziente adulto, attraverso l’incannulamento di una vena periferica dell’arto superiore. Le Indicazioni al posizionamento di un PICC sono, quindi, la somministrazione a medio/lungo termine di farmaci o soluzioni che debbano essere somministrate preferibilmente per via centrale (soluzioni contenti glucosio > 10% o proteine > 5%; soluzioni con osmolarità > 500 mOsm/L; farmaci e soluzioni con pH < 5 o > 9; farmaci vescicanti o irritanti).
LA NECESSITÀ DI UN ACCESSO VENOSO DI TIPO CENTRALE
Questa necessità nasce dal fatto che alcuni farmaci chemioterapici non sono adatti per essere somministrati in vene di piccolo calibro come quelle della mano o del braccio, ma devono essere somministrati in una vena più grande per un’adeguata diluizione e per effettuare la terapia in completa sicurezza.
Nel caso in cui la terapia sia a lungo termine, ovvero superiore ai 4 mesi, e con utilizzo intermittente o infrequente, ovvero un utilizzo inferiore a 7 giorni, l’accesso venoso centrale più appropriato risulta il port, toracico o brachiale.
COS’È UN PICC?
Il catetere PICC, Peripherally Inserted Central Catheter, è un accesso venoso centrale, stabile, inserito da una vena periferica, indicato per terapie endovenose di medio/lungo termine. L’introduzione del catetere avviene con procedura ecoguidata tramite l’uso dell’ecografo e un introduttore MST (Micro Seldinger Tecnique).
I PICC rappresentano un accesso venoso stabile di tipo centrale che può garantire un risparmio delle vene periferiche del paziente attraverso l’abolizione di ripetute venipunture e permette la terapia infusionale in pazienti con patrimonio venoso scarso.
Tra i vantaggi di maggiore rilievo, la possibilità di inserimento di un catetere venoso centrale senza incorrere nei rischi associati al posizionamento di un CICC in vena giugulare interna o succlavia.
La metodica ecoguidata e la tecnica di microintroduzione hanno quindi profondamente mutato i PICC così come erano intesi nel secolo scorso, trasformandoli in un nuovo dispositivo di accesso venoso con più ampie indicazioni, più lunga durata, minore incidenza di complicanze e maggiore tollerabilità da parte del paziente.
COS’È UN PORT?
Un Port è un dispositivo totalmente impiantabile formato da un catetere venoso centrale connesso ad una camera (reservoir) che si colloca a livello sottocutaneo, specificamente progettato per offrire una terapia IV intermittente ad accesso venoso ripetuto e prolungato, nei pazienti che necessitano di terapie intravenose a lungo termine.
Viene principalmente utilizzato per la somministrazione di chemioterapia, antibiotici e farmaci antivirali.
Questo tipo di procedura è accessibile ad un numero sempre maggiore di pazienti che la necessitano.
LA SICUREZZA DEI DISPOSITIVI DI ACCESSO VASCOLARE
Nel corso degli anni le tecniche di impianto sono migliorate molto, allo scopo di ridurre i rischi di complicanze, ridurre i costi e massimizzare la sicurezza del paziente e dell’operatore. Sono state introdotte tecniche che rendono la procedura semplice, sicura con costi contenuti, come l’utilizzo dell’eco-guida e dell’ECG intracavitario.
I dispositivi di accesso vascolare totalmente impiantabili, chiamati anche port, sono ampiamente utilizzati nei pazienti oncologici per facilitare l’infusione di chemioterapia endovenosa, l’integrazione di liquidi e le cure di supporto a lungo termine.
Storicamente, i port erano e sono impiantati nella zona toracica anteriore utilizzando la vena succlavia la vena giugulare interna. L’inserimento del port a livello periferico (braccio) è diventato più diffuso e usato come alternativa ai port toracici. Lo scopo è quello di ridurre i tassi di complicanze e migliorare il livello di soddisfazione del paziente.
In particolare, nelle pazienti con carcinoma mammario, l’assenza di una cicatrice aggiuntiva sul torace e il più facile accesso al reservoir, senza la necessità di scoprire il torace, rappresentano un significativo vantaggio estetico e psicologico. Come nel caso dei pazienti con tumore della mammella, i port brachiali risultano utili anche in pazienti con tumori della testa e del collo e con tracheostomia, poiché possono potenzialmente ridurre i rischi infettivi essendo il sito di accesso lontano dalle secrezioni tracheali che potrebbero facilitare la crescita batterica cutanea. [2],[3]
La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla Salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività. Questa sicurezza delle cure si realizza mediante l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche ed organizzative.
LA TIPOLOGIA DEI TRATTAMENTI
I port appartengono alla classe generale di dispositivi per accesso vascolare (VAD), dove VAD è definito come un dispositivo in materiale biocompatibile (silicone, poliuretano, ecc.) che collega il circolo ematico del paziente con l’ambiente esterno. I dispositivi per accesso vascolare comprendono:
- cateteri venosi periferici (PIV)
- cateteri venosi centrali (CVC)
- cateteri arteriosi.
Questi dispositivi vengono utilizzati per infondere soluzioni, farmaci, prelevare campioni ematici e monitorizzare la pressione (PVC e PA).
Gli accessi venosi vengono classificati come centrali, se la punta è in vena cava superiore (VCS) o in atrio destro – preferibilmente in prossimità della giunzione cavo-atriale oppure periferici (in tutte le altre situazioni).
Il corretto posizionamento della punta di un catetere venoso centrale, in prossimità della giunzione tra vena cava superiore ed atrio destro, è fondamentale per evitare complicanze nel breve e nel lungo termine.
Le Linee Guida INS 2016 raccomandano di adottare il metodo dell’ECG intra-cavitario o con la tecnica della guida metallica o con la tecnica della colonna di soluzione fisiologica all’interno del catetere e interpretare il tracciato ECG così da posizionare la punta del catetere venoso centrale in corrispondenza della giunzione cavo-atriale.
CLASSIFICAZIONE DEGLI ACCESSI VENOSI
La classificazione standard degli accessi venosi va in base alla durata, avremo pertanto:
– Accessi a breve termine: come ago-cannule periferiche, cannule periferiche “lunghe” (“mini-Midline”), CICC (Centrally Inserted Central Catheters) non tunnellizzati in poliuretano, cateteri per dialisi non tunnellizzati
– Accessi a medio termine: come cateteri periferici Midline, cateteri centrali a inserzione periferica PICC (Peripherally Inserted Central Catheters), CICC non tunnellizzati in silicone (Hohn)
– Accesso a medio-lungo termine: cateteri PICC (Peripherally Inserted Central Catheters)
– Accessi a lungo termine: come cateteri cuffiati tunnellizzati CCT (tipo Hickman, tipo Broviac, tipo Leonard, cateteri per dialisi cuffiati) e sistemi totalmente impiantabili, ovvero port e PICC-port.
COMPLICAZIONI E INDICAZIONI D’USO
Le complicazioni possono verificarsi a seguito dell’inserimento del catetere, come pneumotorace, perforazione arteriosa e aritmie.
Le complicanze tardive, invece, comprendono problemi meccanici (come il fenomeno del pinch-off, fratture e migrazione del catetere), infezioni, stravasi, occlusioni e trombosi venosa.
In uno studio retrospettivo [11], il tasso di complicanze tardive in 225 pazienti è stato del 6,6%. Erano: infezioni (2,2%), trombosi (1,3%), stravaso (1,3%), rotture del catetere (1,8%). Una corretta gestione del port è fondamentale per prevenire, rilevare e trattare le complicanze tardive [12]. [13]
In numerose linee guida internazionali troviamo l’indicazione d’uso raccomandata per l’impianto di port. Nelle “INS 2016” i dispositivi per accesso venoso centrale totalmente impiantati (port) sono indicati in pazienti con necessità di terapia infusionale intermittente a lungo termine (terapie antineoplastiche).
Se utilizzati in maniera intermittente i port hanno una più bassa incidenza di infezioni batteriemiche catetere-correlate, mentre se usati in modalità continua il tasso di infezioni è simile a quello di altri CVC a lungo termine.
La scelta di un Port prevede due condizioni: che l’accesso venoso sia da utilizzare per periodi prolungati (superiori a 4-6 mesi), e che l’accesso sia infrequente. Tipico esempio di uso infrequente (ovvero, meno di una volta a settimana) è l’utilizzo dell’accesso venoso per chemioterapie da ripetere ogni tre settimane.
La letteratura, indica che l’uso di un port utilizzato per la somministrazione di terapia nutrizionale (NPD) comporta una maggiore incidenza di complicanze occlusive da parte dei lipidi, rispetto alle occlusioni rilevate dall’uso di sistemi esterni.
Nei bambini, i vantaggi del port vanno attentamente soppesati in quanto l’accesso al sistema avviene mediante una puntura (ago di Huber), che è spesso è mal tollerata nel bambino (specie se pre-adolescente), nonostante l’utilizzo di creme anestetiche.
Il reservoir del port può essere di materiale completamente radiotrasparente (plastica) o di un misto di plastica (resine di vario tipo) e metallo (solitamente, titanio); a seconda del la profondità della tasca e dalla tipologia del paziente, si sceglierà il reservoir delle dimensioni più appropriate tra un reservoir “standard” (altezza circa 12mm), “low profile” (circa 10mm) e “very low profile” (circa 8mm). Il catetere può essere in silicone o in poliuretano, senza che vi siano differenze significative di biocompatibilità tra i due materiali.
Le evidenze della letteratura suggeriscono di evitare i cateteri valvolati (maggior rischio di malfunzione) e i cateteri in silicone trasparente (maggiore fragilità). (Fonte DavExpert, GAVeCeLT).
La scelta della dimensione del reservoir e il suo corretto posizionamento sono di fondamentale importanza nella prevenzione di complicazioni tardive. Gli aghi non carotanti necessari (aghi Huber) non devono essere lasciati in posizione per più di una settimana.
L’erosione o il danneggiamento della cute che riveste il port si verifica generalmente a causa di un errato posizionamento o di un’errata scelta del port stesso (troppo grande o posizionamento del port in un’area del corpo in cui vi è uno strato inadeguato di adipe sottocutanea) o ad una gestione inappropriata (ad es. un ago di Huber lasciato in posizione per più di una settimana). (ESPEN 2009)
I PICC (Peripherally Inserted Central Catheters, cateteri centrali a inserzione periferica)
sono un dispositivo per accesso venoso costituito da un catetere di materiale altamente biocompatibile, come il poliuretano di terza generazione, che vengono inseriti in una vena periferica (nella maggior parte dei casi, dell’arto superiore) per raggiungere una posizione “centrale”, ovvero la zona di transizione tra la vena cava superiore e l’atrio destro.Vengono inseriti per via ecoguidata, con l’ausilio di kit di microintroduzione, in vene profonde del braccio (tipicamente, vene brachiali o vena basilica).
La scelta di un PICC ad un extra-ospedaliero prevede due condizioni: che l’accesso venoso sia da utilizzare per periodi a medio-lungo termine (idealmente fino a 4-6 mesi), e che l’accesso sia ripetuto, ovvero quando l’accesso venoso è richiesto dalle poche settimane ad alcuni mesi (medio-lungo termine) e se vi è indicazione a prelievi ripetuti o a infusione di soluzioni non compatibili con la via periferica (chemioterapia, nutrizione parenterale fortemente iperosmolare, antibiotici irritanti l’endotelio, etc.) sarà opportuno ricorrere ad un catetere venoso centrale.
Le vene più adatte per i PICC sono spesso in ordine di preferenza:
- la vena basilica
- le vene brachiali
- la vena ascellare
Nei pazienti obesi, anche la vena cefalica nella regione laterale, può anche diventare un’opzione pratica poiché le altre vene potrebbero essere troppo profonde.
La valutazione ecografica delle vene delle braccia e della regione cervico-toracica prima dell’inserimento di un PICC avviene mediante un protocollo definito RAPEVA.
Nel paziente ospedalizzato il PICC dovrebbe essere considerato l’accesso venoso centrale di prima scelta, a meno di determinate situazioni cliniche che richiedono obbligatoriamente invece il posizionamento di un CICC, ovvero di un catetere venoso centrale inserito mediante puntura diretta ecoguidata delle vene centrali della regione sotto-/sopraclaveare e del collo (vene ascellare, succlavia, giugulare interna e anonima). Tali situazioni sono la presenza bilaterale di controindicazioni al posizionamento di un PICC in sede brachiale come un pregresso svuotamento linfonodale ascellare, alterazioni osteoarticolari o cutanee, paresi.
cronica del braccio, indisponibilità di vene di calibro sufficiente, trombosi venosa a livello dell’asse basilica-ascellare-succlavia ecc.; la presenza di insufficienza renale cronica in paziente in trattamento emodialitico o candidato a trattamento emodialitico; la necessità di accesso venoso in emergenza e/o in paziente emodinamicamente instabile (tipicamente: necessità urgente di un accesso centrale in Pronto Soccorso o in sala operatoria o in terapia intensiva); l’indicazione al posizionamento di un accesso venoso centrale a quattro o cinque lumi.
La scelta del tipo di dispositivo per accesso venoso, periferico o centrale, deve basarsi sulle necessità del paziente e, di conseguenza, su considerazioni quali il piano terapeutico, i farmaci prescritti, la durata prevista, le caratteristiche delle vene del paziente, la sua età, le sue comorbilità, l’anamnesi di pregresse terapie infusionali, eventuale preferenza per il tipo o sede del dispositivo, nonché le capacità e le risorse disponibili per il suo mantenimento.
La scelta del catetere venoso più adatto deve nascere dalla collaborazione tra tutti i professionisti dell’equipe, coinvolgendo anche il paziente e i suoi caregiver. Occorre scegliere il catetere venoso con il diametro esterno più piccolo possibile, con il minor numero di lumi, e con la minima invasività, compatibilmente con la terapia prescritta. Quando si pianifica un accesso venoso occorre sempre tenere presente la importanza di preservare il patrimonio venoso periferico del paziente.
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